via Cairoli, 9
25122 Brescia
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Nel 1981 Gino Micheletti riusciva a raggiungere il primo importante obiettivo nella sua appassionata attività di organizzatore di cultura. La biblioteca e l’archivio a cui aveva dato vita, con l’aiuto di pochi amici ed appassionati, si costituivano in Fondazione ottenendo l’anno successivo il riconoscimento giuridico da parte della Regione Lombardia. Contemporaneamente, grazie ad un’apposita convenzione, il Comune di Brescia concedeva alla Fondazione la sede di via Cairoli 9, presso la cosiddetta “Cavallerizza”, quasi a metà strada tra il centro storico e la zona delle fabbriche, con l’attiguo quartiere di Campo Fiera.
Scomparso nel 1994, Micheletti ebbe a disposizione poco tempo per realizzare i suoi numerosi ed audaci progetti, nondimeno ciò che la Fondazione è riuscita a fare sotto la sua guida e dopo la sua scomparsa è veramente formidabile. Va considerato che Micheletti, come tanti imprenditori bresciani, partiva pressoché da zero, non avendo alle spalle né grossi patrimoni né organizzazioni o istituzioni, tutt’al più una rete di amici, del suo stesso ceto e origine: artigiani, operai, piccoli imprenditori. Ma la sfida che lanciava con la Fondazione era anche più ardua, perché si collocava sul terreno elitario della cultura, in un universo percorso da forti tensioni ideologiche come è sempre stata la storia contemporanea. In pochi anni, con una serie di iniziative azzeccate, spesso controcorrente, e un lavoro indefesso sul terreno della documentazione, la Fondazione ha acquisito credibilità e prestigio in sede nazionale ed internazionale. Alcuni dei temi più scottanti e controversi hanno trovato nella Fondazione un luogo per approfondimenti e discussioni, in nome di principi ben saldi rispetto al cambiare delle congiunture e delle mode intellettuali o politiche: la libertà della ricerca, il perseguimento sempre perfettibile della verità, la certezza dell’importanza crescente della cultura (anche quando la società sembra volersene liberare).
È ancora su impulso di Micheletti che dai primi anni ’90 prende corpo l’ultimo e più ambizioso dei suoi progetti: dare vita ad un grande e policentrico museo del lavoro industriale (Musil – Museo dell’industria e del lavoro), fondamentalmente dedicato ad un’epopea misconosciuta o travisata, cioè al periodo storico caratterizzato dalla più vera e profonda trasformazione economica e sociale che abbia compiuto il nostro Paese. Gli storici parlano di “seconda industrializzazione” oppure usano altre categorie, però è un fatto che l’Italia, dopo la Seconda guerra mondiale, facendo leva sulla capacità di lavoro e risparmio, sacrificio e inventiva, di innumerevoli persone comuni e di pochi leader politici lungimiranti, riuscì a conquistare per benessere e per libertà i primi posti nella gerarchia mondiale dei paesi più industrializzati e progrediti.
Senza tralasciare le iniziative che le hanno dato notorietà, gli sforzi della Fondazione sono da tempo concentrati nel compimento dell’opera di cui Micheletti sognava la realizzazione, nei luoghi stessi dove era nato, tra le grandi fabbriche – in procinto di sparire – e il quartiere di Campo Fiera.